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EUROPA: CASO MORO TRENTACINQUE ANNI DOPO GLI INTERROGATIVI RESTANO

EUROPA: di Alessandra Bernocco

 

Caso Moro, trentacinque anni dopo gli interrogativi restano

Ha debuttato in prima nazionale il monologo di Ulderico Pesce scritto a partire dal libro di Ferdinando Imposimato. In scena al Teatro Lo Spazio di Roma fino a domenica

Viene una grande rabbia a sentire Ulderico Pesce snocciolare una a una, in un monologo di non più di un’ora, tutte le incongruenze che ancora si annidano intorno al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro. «Quante stranezze in questa storia, quante bugie costruite ad arte», dice l’attore e autore votato da tempo a quel genere di teatro cosiddetto civile e quindi incazzato, polemico, ma documentato e onesto.In questo caso il riferimento è il giudice Ferdinando Imposimato che compare addirittura come coautore. Moro, la strage di via Fani infatti è un ininterrotto atto d’accusa delle istituzioni, dell’assenza di stato, del silenzio e della manipolazione dei fatti soprattutto da parte dell’allora ministero e ministro dell’Interno Francesco Cossiga, così come emerge dagli ultimi due saggi di Imposimato, Doveva morire, del 2011 (Chiarelettere editore), e il recente I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, uscito lo scorso ottobre per Newton Compton.La ricostruzione senza remore di fatti e testimonianze, lo smascheramento di reticenze e presunte menzogne, fornita dal giudice istruttore delle indagini, a distanza di trentacinque anni fa accaponare la pelle. Possibile che si parli così poco dei libri di Imposimato e che l’opinione pubblica sia paga di avere archiviato un capitolo così devastante di storia italiana?È certo che quando ci viene scaraventato nuovamente addosso, concentrato in un’ora di furibonde rivelazioni, fa davvero impressione. E non si può fare finta di niente, come se tutto potesse essere definitivamente sepolto da più urgenti questioni.Ancor più perché Pesce si cala nei panni del fratello quindicenne di un membro della scorta – non un’invenzione drammaturgica ma una narrazione basata su interviste realmente avvenute – e riferisce e racconta a partire dal suo punto di vista, intrecciando momenti di intimità e sofferenza squisitamente privati ai punti cardine della denuncia, mediati dalle dichiarazioni del giudice.Eccoli: 1) nella zona di via Fani, subito dopo il rapimento, un black out improvviso delle linee telefoniche rese impossibile ogni comunicazione; 2) Radio Città Futura e in particolare Renzo Rossellini annunciò di un imminente attentato a Moro mezz’ora prima del sequestro, cioè alle 8,30 del 16 marzo. Però l’Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali), che all’epoca registrava tutte le trasmissioni radiofoniche, interruppe la registrazione dalle 8,20 alle 9,33; 3) la dichiarazione di un testimone (Alessandro Marini), indica che a sparare in via Fani non furono solo i terroristi ma anche due motociclisti che avrebbero sparato da una moto honda blu di grossa cilindrata. 4) i bossoli di proiettile ritrovati sul luogo della strage e le dichiarazioni incrociate dei terroristi lasciano ipottizzare un residuo di quarantanove colpi di altra provenienza; 5) all’ora del sequestro in via Fani c’era il colonnello Camillo Guglielmi dei servizi segreti, come egli stesso ammise nell’interrogatorio. Erano le 9 di mattina e il colonnello iscritto a Gladio disse che stava andando a pranzo dal colonnello D’Ambrosio il quale, da parte sua, negò l’appuntamento; 6) il pubblico ministero Infèlisi il 24 aprile, quando Moro era ancora vivo, aveva emesso ordini di cattura nei confronti dei terroristi Gallinari, Morucci e Faranda che avevano sparato in via Fani e che in quel momento erano i carcerieri di Moro, ma quell’ordine di cattura venne bloccato dall’Ucigos; 7) Franco Ferracuti, criminologo dell’università di Roma e medico personale di Cossiga, fa firmare un appello a settantacinque intellettuali italiani che dichiarano che Moro, in base alle lettere che scriveva dalla prigionia, era pazzo.Questo, senza considerare la recentissima dichiarazione di Giovanni Ladu, ex sottufficiale della Guardia di finanza ora indagato per calunnia, per avere denunciato che la prigione del presidente Moro, in via Montalcini, era ben nota ai vertici della Dc, dei servizi segreti e delle forze dell’ordine.

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