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MEDEA: il matrimonio tra una clandestina e un colonizzatore

 

Scheda Artistica

da Euripide di Ulderico Pesce

con Ulderico Pesce
Lara Chiellino, Eva Immediato, Eleonora Santoro.

MUSICA
armena, georgiana e turca

DRAMMATURGIA E REGIA
Ulderico Pesce 

    

LO SPETTACOLO

Medea, nipote del Sole, pratica di arti magiche, viveva in un terra favolosamente ricca: la Colchide,
situata alla “periferia misteriosa del mondo eroico” corrispondente all’attuale Georgia e ad una parte della Turchia. Proprio nella Colchide, in un boschetto sacro al dio della guerra Ares, il re Eete,
padre di Medea, teneva appeso il Vello d’oro che aveva la capacità di volare, fino a quando Giasone
e gli Argonauti non giunsero nel suo regno per impadronirsene. Ad aiutare Giasone nella conquista
del Vello d'oro, difeso da un terribile serpente, fu Medea che, innamoratasi di lui perdutamente
diventa sua moglie e si trasferisce in Occidente, a Corinto, dove mettono al mondo due figli.
Dopo dieci anni Creonte, re di Corinto, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo a
quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone, accecato dal potere, accetta,
abbandonando sua moglie Medea che cade nella più assoluta disperazione e i due figli. Vista l'indifferenza di Giasone di fronte al suo sconforto, Medea medita una tremenda vendetta.
Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il
dono è pieno di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in
aiuto, tocca anch'egli il mantello e muore. Ma la vendetta di Medea non finisce qui, per assicurarsi
che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli Mermo e Fere avuti da lui. Il dolore per la perdita
dei propri discendenti porta Giasone al suicidio. 

Note di regia

“Giasone parte con gli Argonauti e affronta quello che era considerato "il viaggio più lungo" verso il luogo più orientale mai conosciuto al mondo: la Colchide, laddove sorgeva il sole. Va verso una terra favolosamente ricca per rubare il Vello d’oro che i Colchi veneravano da millenni. Il Vello è ovviamente una metafora dell’oro di cui quella terra era ricca. Ancora oggi nelle zone montuose della Colchide vivono pastori-cercatori d'oro seminomadi che utilizzano un setaccio ricavato principalmente dal vello di ariete tra le cui fibre si incastrano le pagliuzze di oro.
Mi sono chiesto cosa l’Occidente va a “rubare” oggi in questi territori ricchi soprattutto di risorse del sottosuolo ma assolutamente deboli da un punto di vista militare. Oggi, i territori dell’antica Colchide sono attraversati dalle condotte di gas e petrolio che noi occidentali preleviamo per le nostre necessità. Ed ecco che il Vello d’oro del nostro spettacolo diventa un barile di petrolio che, analogamente al Vello d’oro dell’antichità, ha la capacità di far volare.

La nostra Medea è una donna forte che viene dalla periferia del mondo nelle cui viscere si nascondono ricchezze enormi. E’ così forte l’amore che ha per Giasone che, pur di aiutarlo a rubare il Vello d’oro giunge ad uccidere il fratello Apsirto spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo che la porta in Occidente. Medea pur di raggiungere il sogno di realizzare la sua vita con Giasone nel “mondo civile” non solo uccide il fratello ma abbandona la sua terra e “regala” all’Occidente quanto di più prezioso il suo popolo ha: il Vello d’oro. Medea annienta la sua Identità, la memoria della sua terra.
Arrivata nel nuovo mondo si accorge presto di non essere compresa e che la sua vita non è facile. Ha difficoltà a parlare la lingua dell’Occidente, in più è trattata con sospetto perché viene da fuori, è una donna da cui guardarsi, una “barbara”, ha un’altra religione, un’altra cultura. Nello stesso tempo il luogo dove Medea è ospite, l’Occidente, è ricco ed ha bisogno di “braccia”, di lavoratori immigrati, di “paesani di Medea”. E’ un conflitto di cui oggi si parla, un tema individuato nell’antica Grecia che nel nostro lavoro diventa determinante.”

Ulderico Pesce

IL CANTO DI ANTIGONE

 

Scheda Artistica

da Sofocle di Ulderico Pesce

con Ulderico Pesce
Lara Chiellino, Antonella Iallorenzi, Eleonora Santoro
Musiche tradizionali della Lucania e della Sardegna interpretate da Roberta Langone

Dopo la morte di Polinice nel duello con il fratello, Creonte lo lasciò senza tomba e proibì a tutti di seppellirlo minacciando la pena di morte. La sorella Antigone lo seppellì. Creonte allora, minacciò di morte le guardie che sorvegliavano il cadavere se non scoprivano l’autore del fatto. Esse disseppellirono il cadavere e ripresero la sorveglianza. Antigone arrivò e trovando di nuovo il corpo  del fratello pianse su di lui e in tal modo si scoprì. Quando gli fu consegnata dalle guardie, Creonte la condannò ad essere sepolta viva. Allora Emone, figlio di Creonte che era il suo fidanzato, sconvolto si uccise sul corpo della fanciulla che si era impiccata. Addolorata Euridice, moglie di Creonte, si uccide; alla fine Creonte piange la morte del figlio e della moglie.

Dopo il progetto sull'anarchico Passannante e il suo cervello e il suo cranio insepolti e messi in mostra presso il Museo Criminologico di Roma, la compagnia passa allo sviluppo di tematiche analoghe presenti ne L'Antigone di Sofocle. Oltre al tema della mancata sepoltura, l'opera offre spunti di lavoro ancora attuali come il conflitto tra la legge scritta e quella orale, il senso dell' azione di chi governa un paese, l'autorità dello Stato quando diventa autoritarismo e tirannia.
A proposito delle leggi orali tramandate dal popolo a cui si ispira Antigone, abbiamo intenzione di ricercare musiche della tradizione popolare contadina lucana che hanno come tema il lutto, soprattutto nella tradizione musicale di Tricarico e la tradizione delle “prefiche di Colobraro”, ovvero le piangenti, le donne che piangevano i morti avversate dal Concilio di Trento. Verranno inoltre utilizzate fotografie e video di Ernesto De Martino e Luigi Di Gianni, due antropologi che negli anni ’50 hanno dato vita ai primi studi scientifici sulla vita del popolo lucano.

 

EVVIVA MARIA: I MOTI DI REGGIO CALABRIA DEL 1970 E L'ASSASSINIO DI 5 ANARCHICI

 

Scheda Artistica

di Ulderico Pesce
con
Lara Chiellino


Il testo racconta la storia dei “Moti di Reggio Calabria del 1970”, un avvenimento tragico e paradossale che rappresenta ancora oggi la più importante rivolta popolare italiana dal dopoguerra a oggi. Il popolo di Reggio Calabria protestò in maniera determinata, costruendo barricate nella città, occupando strade e ferrovie, contro la decisione di nominare capoluogo della Regione Calabria la città di Catanzaro, che contava circa settantamila abitanti, e non quella di Reggio Calabria che ne contava centosettantamila. Molti furono i morti e molti i feriti e quei fatti rappresentano ancora oggi, una ferita aperta per tutto il Mezzogiorno d’Italia.
Lo spettacolo mira a rintracciare e raccontare i veri motivi di quella ribellione, che affondano le radici in una politica del Governo centrale verso il Sud che ha coltivato solo illusioni e inganni, politica mai realizzata a pieno e che si è rivelata con gli anni senza prospettive reali. Un Sud che è stato lasciato nelle mani della malavita che oggi, a Reggio Calabria, come in altre parti del Sud dell’Italia, regna incontrastata.
“La notte del 26 settembre 1970 morirono sull’autostrada del Sole fra Ferentino ed Anagni, alle ore 23,25, in uno scontro con un autotreno, cinque giovani che si recavano a Roma per  portare ad un giudice “carte e documenti segreti” che avrebbero fatto capire gli autori reali dell’attentato al treno “La Freccia del Sud”, avvenuto il  22 luglio dello stesso anno, all’altezza di Gioia Tauro, in cui persero la vita sei persone.
Entrambi gli episodi furono frettolosamente archiviati dalla Magistratura come “incidenti”, molti invece continuano a pensare, a dire e a scrivere, che quei fatti definiti “incidenti” furono, viceversa, veri e propri “attentati” con cui si mirava a destabilizzare l’ordine sociale e a mettere a tacere ragazzi scomodi che avevano intuito i manovratori reali, o meglio gli strumentalizzatori dei Moti di Reggio Calabria che, approfittando della battaglia dei reggini, miravano a conquistare l’Italia con la forza.
Visto che lo Stato italiano ha lasciato nel dimenticatoio questi fatti, tocca a noi “teatranti”, “pagliacci” per vocazione, ricordare quei morti”
Ulderico Pesce

Il grido delle pietre: la vita di Domenico Lentini

 

Scheda Artistica

di e con Ulderico Pesce
e con Lara Chiellino, Eleonora Santoro, Roberta Langone
Chorale “Domenico Lentini”
diretto da:
Silvano Marchese

Lo spettacolo ,“Il grido delle pietre”,  racconta la vita del Beato Domenico Lentini.
Penitente, predicatore, sacerdote esemplare, Domenico nacque in una famiglia umile di Lauria nel 1770. Il padre Macario, contadino, conciava il pellame, faceva un po’ di tutto per mantenere i cinque figli, Domenica, Rosa, Nicola, Antonia e Domenico. La madre Rosalia Vitarella morì lasciando i figli piccoli e il marito, quest’ultimo non dormiva la notte col pensiero di pagare la piccola casa dove abitavano.

Molto presto Domenico cominciò a dare segni della sua Vocazione.  Diventò sacerdote, svolse il suo ministero pregando, predicando, facendo penitenza, insegnando ai poveri, dando tutto agli altri. Erano tempi duri, i suoi fratelli si lagnavano della sua generosità, don Domenico dava tutto a tutti lasciando vuota la “dispensa” della propria famiglia.
Nello spettacolo “Il grido delle pietre”, la storia di Domenico, i suoi studi, le sue prediche, le opere, i miracoli sono raccontati dai suoi fratelli che diventano gradualmente  testimoni di una vita vissuta in modo straordinario, fino al 1828, quando don Domenico lasciò questa terra per il Paradiso, lasciando in eredità la fama della sua Santità, una fama che non si è mai perduta, è stata riconosciuta dalla Chiesa che il 12 ottobre 1997, approvando il miracolo ricevuto da Antonietta Acunzo di Napoli, ha iscritto il Venerabile Lentini nell’elenco dei beati.

Sedi e Social

SEDE LEGALE

Corso Garibaldi, 103
85040 Rivello (PZ)

SEDE OPERATIVA

Centro Banxhurna
85030 San Paolo Albanese (PZ)

SOCIAL

Contatti

Direzione Artistica
Ulderico Pesce: +39.331.42.16.529
 
Direzione Organizzativa e Amministrativa
Nicoletta Pangaro: +39.345.35.58.969
 
Comunicazione
Nicola Ferrari: +39.320.94.35.130

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