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DUE RIGHE.COM: Il caso Moro rivive sul palco del Teatro Lo Spazoio

DUE RIGHE.COM di Anna Dotti

Sulle note di Modugno, attraverso lo schermo di un vecchio televisore Mivar, la storia di un ragazzo del Sud che non aveva mia visto Roma, e le indagini di un giudice che provava a fare il suo lavoro, Ulderico Pesce ci trasporta magistralmente alla fine degli anni ’70. Se la cornice è nostalgica, fuori moda, e potrebbe strapparci un sorriso, quello che si anima al suo interno è però drammaticamente attuale: gli interrogativi ancora aperti sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta. “Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato” è questa l’affermazione attorno a cui ruota l’intero pezzo teatrale, di cui Ulderico Pesce ci mostra l’attendibilità basandosi sul lavoro svolto dal giudice Ferdinando Imposimato e il racconto di Ciccio Iozzino, il fratello minore di Raffaele. Raffaele Iozzino era uno dei membri della scorta di Aldo Moro, l’unico che durante il rapimento, la mattina del 16 marzo del ’78, riuscì a sparare due colpi di pistola contro i rapitori, prima di essere freddato insieme ai suoi colleghi: Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Pesce interpreta Ciccio e dà un resoconto dei fatti dal suo punto di vista, interagendo brevemente con il video delle dichiarazioni del giudice Imposimato. In questo modo emergono le caratteristiche sui generis del caso Moro, gli elementi poco chiari sono molti, a partire da come veniva tutelata la sicurezza del Presidente prima del rapimento, alla modalità con cui si svolse il rapimento stesso, e alla successiva gestione delle indagini e delle trattative con le BR; così come non sono da sottovalutare le conseguenze del drammatico evento, che ebbe i suoi risvolti positivi per personaggi come Andreotti e Cossiga, e allo stesso tempo per la salvaguardia degli interessi americani, politici ed economici. La pièce prende il nome appositamente di “moro, la strage di Via Fani”, quella “m” minuscola sta a mostrare come la morte del Presidente fosse segnata, come impressa nel suo stesso nome: moro, radice del verbo morire. Del resto non si può imputare a Pesce o a Imposimato alcun volo pindarico, con abilità retorica e amore per la verità hanno delineato i contorni di una verità che ci consegnava lo stesso Moro, quando in una delle ultime lettere dalla prigionia scriveva “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese”. Non stupisce che lo spettacolo trovi difficilmente un palcoscenico che lo ospiti, a maggior ragione questo è senz’altro uno spettacolo da vedere, per non dimenticare, per comprendere criticamente la realtà e la storia su cui si fonda l’attualità del nostro Paese. La rappresentazione ci investe della consapevolezza che, fin quando non si farà luce, veramente, su questo caso come su tutte le altre “stragi di Stato”, quelle macchie di sangue ci resteranno addosso.
Anna Dotti14 dicembre 2013

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