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LIMINATEATRI.IT:: MORO LA STRAGE DI VIA FANI

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Moro, la strage di via Fani , l'ultimo spettacolo di Ulderico Pesce, convince e commuove. Come sempre accade nelle messinscene dell'autore-attore-regista lucano, anche qui la Storia si intreccia con le storie dei protagonisti, il lavoro documentario ai racconti privati. L'ordito drammaturgico viene tessuto intorno alla frase: <>. Un'affermazione decisa che traccia lo sviluppo della scrittura scenica e delle sue direttrici tematiche: da un lato fare luce sulla morte del grande statista; dall'altro lasciare affiorare il ricordo dei cinque uomini della scorta che persero la vita il 16 marzo del 1978 quando il Presidente della Democrazia Cristiana - mentre si recava alla Camera dei Deputati per la presentazione del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti - venne rapito all'incrocio tra via Fani e via Stresa. La fusione armonica dei due piani conduce lo spettatore dentro i fatti narrati. Non sarebbe stato lo stesso se Ulderico Pesce si fosse limitato soltanto a denunciare le falle di un sistema che, stando agli atti e alle testimonianze di prima mano citate nello spettacolo, segnò il destino di Moro. La sua fine era annunciata. Ritenuta addirittura necessaria .

L'atto teatrale, però, non è un comizio e chi conosce il lavoro di Ulderico Pesce, sa che a lui sta a cuore imbastire storie, evocare immagini e celebrare verità con l'incantamento del teatro. Ed è questa la forza di Moro, la strage di via Fani . Le recenti scoperte del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro e co-autore della messinscena – si amalgamano così alle vite spezzate di quei cinque esseri umani, vittime di abietti giochi di potere. Essi pensavano di servire lo Stato. Il loro Stato. E, invece, hanno trovato la morte. Partendo dal giorno del rapimento, Ulderico Pesce – attraverso il personaggio centrale di Ciro Iozzino, fratello di Raffaele – ci avvicina con delicatezza alle loro esistenze, ci restituisce con emozione tratti delle loro personalità, ci fa conoscere con discrezione desideri, ansie, progetti di alcuni di loro. All'inizio dello spettacolo, i toni e le azioni dell'attore sono di estrema pacatezza. D'altronde, di fronte alle immagini-documento che su un monitor mostrano i corpi riversi a terra ricoperti da lenzuola macchiate di sangue, può esserci soltanto la compostezza del dolore. La stessa che paralizza Ciro il giorno della strage, quando casualmente apprende la notizia dalla televisione. Non sa ancora se suo fratello è morto. La conferma arriva da un particolare: da un lenzuolo spunta un braccio con l'orologio che Raffaele aveva ricevuto in dono per la Cresima proprio da Ciro. Dall'oggetto, simbolo del legame affettivo tra i due, Ulderico Pesce ricostruisce il passato del poliziotto ucciso e la sua infanzia trascorsa a Casola di Napoli in una famiglia di contadini; ci racconta dei sacrifici che i genitori hanno dovuto fare per dargli un futuro diverso, della disperazione di sua madre che non riesce a darsi pace e che aspetta la verità da più di trent'anni.

Il dolore di Ciro muta allora in rabbia e il suo sdegno lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato per sapere come sono andate davvero le cose. Nella messinscena, è questa relazione a far scaturire interrogativi sulle tante “stranezze” del caso Moro: perché, dopo il rapimento, le indagini restano di competenza della Procura della Repubblica di Roma e non vengono affidate – come previsto dal Codice di Procedura Penale – al giudice istruttore Ferdinando Imposimato, il quale riceve l'incarico nove giorni dopo la morte di Moro? Perché, qualche mese prima del suo sequestro, nasce l'UCIGOS, un organismo di polizia speciale alle dipendenze del Ministro dell'Interno Francesco Cossiga e viene smantellato l'Ispettorato anti-terrorismo diretto da Emilio Santillo, che aveva ottenuto risultati eccellenti contro il terrorismo e la Loggia Massonica P2? Perché, alcuni agenti dell'UCIGOS si recano nello stabile di via Montalcini, prigione di Moro, e non lo comunicano a Imposimato? Le domande vengono gridate di fronte alla platea e l'attore, in un crescendo vocale e gestuale, rinuncia alla recitazione misurata dell'inizio. D'altronde, è difficile mantenere la calma se si scoprono crimini efferati, voluti e organizzati dagli stessi uomini dello Stato. Un'accusa resa ancora più pesante dalle rivelazioni di Steve Pieczenik, esperto di terrorismo inviato in gran segreto in Italia dal governo Usa per gestire l'”affare Moro”. Sarà ancora Ciro a riferirci la confessione scottante di Pieczenik a Imposimato: l'assassinio di Moro è stato deciso da Cossiga e da Andreotti perché lo statista era sul punto di rendere pubbliche verità scottanti.

Il continuo entrare e uscire dell'attore dai personaggi interpretati, il ritmo incalzante della complessa vicenda narrata, i toccanti ritratti dei giovani uccisi non possono lasciarci indifferenti. Il loro ricordo fa vibrare di emozione e il passato si attualizza di colpo nel presente della rappresentazione. Quando Ulderico Pesce intonaLa lontananza di Domenico Modugno cantata in macchina dal poliziotto Francesco Zizzi la mattina della strage, vengono i brividi. Anche lui era del Sud. Di Fasano, in provincia di Brindisi, ed era al suo primo giorno di lavoro perché, bizzarra ironia della sorte, la guardia titolare aveva presentato un certificato medico. Ciro e Adriana, sorella di Francesco, si incontrano, fanno amicizia e insieme cercano di ricomporre i tasselli di quel maledetto puzzle. Un monito rivolto anche al pubblico. Alla fine della messinscena, infatti, Ulderico Pesce non perde l'opportunità di interrogare la platea: pretende di sapere da che parte stanno gli spettatori. Li provoca, chiede loro di intervenire. Impossibile non reagire.

di Letizia Bernazza

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